Mente ed emozioni – Intervista a Brigita Huemer Limentani

By Roberta Fornari

Vive tra Roma e l’Austria dopo aver viaggiato per il mondo fin dall’inizio della sua carriera artistica, durante la quale Brigita Huemer Limentani ha colto la bellezza della natura cercando di tradurne le forme in lavori tridimensionali, a partire dalle sculture in cui l’intensità del colore interagisce con la struttura dinamica della luce sul plexiglas e la carta. La sua arte è un esperienza estetica emozionale fatta di linee sinuose e di modelli definiti con grande eleganza.

All’inizio della tua carriera artistica a New York, dove hai studiato pittura, hai scelto di dedicarti prima alla fotografia. Puoi raccontare i tuoi primi anni e gli inizi?

A New York lavoravo sulla pittura figurativa, per la maggior parte autoritratti e pittura dal vero, e pittura a olio tradizionale perché provenendo dall’Europa era importante riflettere sulla mia eredità culturale e le mie radici, anche sotto l’influenza di Gustav Klimt. Usavo l’oro come sfondo per la rappresentazione della figura umana. Come europei, siamo molto vicini alla nostra cultura e alle nostre origini, alle tradizioni e alle consuetudini. Devo dire, però, che vivere a New York è stata una grande esperienza perché mi ha dato la libertà di trovare me stessa senza essere giudicata.

Essendo in parte austriaca e in parte croata non sentivo tanto i confini, tutto era aperto, per me. Forse questa è stato uno dei motivi per cui ho sempre amato viaggiare e vedere culture diverse. Lavorare come modella internazionale quando avevo vent’anni mi ha dato la possibilità di vedere il mondo ed è stato un modo bellissimo di combinare l’amore per la cultura, l’arte e la moda all’inizio. In seguito, ho trovato la fotografia più facile, specialmente durante i viaggi. Ho sempre amato i posti in cui potevo sentirmi in armonia con me stessa.

La bellezza della natura prevale in tutte queste foto.

Ho fotografato oggetti in qualche modo intatti, che gli umani non avevano toccato, quelli che trovi in natura così come sono. È stata un’esperienza emotiva forte trovare in questi oggetti quello che altre persone non vedevano. Immagino che volessi rendere visibile agli altri quello che vedevo, specialmente il modo in cui vedevo il mondo naturale. In luoghi come la Polinesia o l’Africa la sensazione di essere parte di un quadro più grande è fortissima perché la natura è immensa, quasi sovrastante. Da umano ti senti piccolo, eppure in armonia. Non puoi fare a meno di sentirlo. In Polinesia la natura è anche pericolosa e le isole lontane l’una dall’altra, ovviamente separate dal mare, e ti fanno sentire vulnerabile. Ho cercato di cogliere questo momento e la connessione con quello che mi stava intorno, la sensazione di quanto siamo piccoli rispetto a tutta questa grandiosità e l’ho messo nelle fotografie.

Nelle foto raccolte in “Kia Orana” hai concentrato lo sguardo soprattutto sugli oggetti e le forme naturali, come pietre, rocce, pezzi di corteggia, tronchi e fibre. Qual è il significato di Kia Orana?

Significa “Benvenuto” in Polinesia dove ho fatto le foto. Ho deciso di usare parole o scritte del luogo, qualcosa che riflettesse la connessione tra immagine e luoghi reali.

Siccome avevo lavorato nella moda in precedenza, era importante anche cogliere da vicino la grana dei materiali; allora non sapevo ancora di cercare forme geometriche e motivi, per esempio una foglia o una pietra, modelli che posso avere una geometria apparentemente casuale. Un po’ come nell’arte astratta in cui la ripetizione dei modelli e delle linee è qualcosa che noti, qualcosa che l’artista ripete regolarmente. Attraverso la fotografia guardavo tali forme senza cercare gli oggetti trasformati nel tempo. Era come meditare sulla natura. Ho cercato di cogliere questo momento speciale di trasformazione nel corso del tempo con le forme naturali create dal sole, dal vento sul terreno, o dalle linee sulla buccia o la corteccia di un frutto. 

Un po’ come nelle sequenze di Fibonacci che si trovano su una foglia o sulla livrea degli animali. Avevo notato che La Frattura sembra un frammento di terreno mentre è la corteccia di una noce di cocco.

Esattamente. Ho lavorato su immagini di noci deformate in quel periodo, ma anche pietre e foglie dalle forme particolari.

Kia Orana – Der Knacks, 2005 Photo Courtesy of the artist

In Das Ei, per esempio, era stato deposto un uovo su un albero, all’aria aperta, senza protezione, in quest’isola incontaminata della Polinesia dove non c’erano praticamente umani. Gli uccelli non avevano paura perché la presenza umana era talmente rara che deporre un uovo, così su un albero, così visibile e anche vulnerabile, aveva generato una fusione di colori e forme con il suo albero ospite.

Kia Orana, Das Ei, 2005 Photo Courtesy of the artist

Che tecnica hai usato per le fotografie?

Qui ho usato una pellicola in bianco e nero con una macchina Nikon a lenti macro, cosa che mi ha consentito di cogliere la grana degli oggetti. Al tempo sviluppavo da sola le foto e le stampavo a mano in grande formato.

Queste altre foto sono un altro viaggio. Sono state incluse in altre mostre?

Sì, ho presentato altre storie in diverse mostre. Alcune delle foto sono oggi all’Hotel “The First Roma arte” e a “The H’ALL tailor suite” a Roma. Le foto sono state fattein Africa e in Croazia. Una è intitolata “My Land, My Past”, quello sotto è uno scatto fatto in Croazia ed è una foto di mia nonna che entra nella cascina – è ancora viva, oggi. Ha attraversato due guerre e ha molte storie da raccontare sui bisnonni e la famiglia. Ho sempre amato la sua forza e la sua indipendenza. Ci sono state molte donne forti nella mia vita.

My Land, Croatia, 2006 Photo Courtesy of the artist

La seconda è una fotografia di ciò che resta di un vecchio materasso abbandonato vicino alla terra del mio bisnonno. Mi piace il modo in cui questi oggetti cambiano e si integrano con ciò che li circonda nel tempo.

Dopo la Guerra civile in Croazia c’erano molte tracce di questo tipo e storie di cui sentivo l’esigenza di riportare alla luce. Volevo ricordare le persone che avevo perduto allora e quanto importante fosse accettare i cambiamenti della vita che è in costante trasformazione e non resta mai uguale. Sono molto affezionata alla terra dei miei nonni e alla natura circostante dove ho passato gran parte della mia infanzia. Mi piaceva cogliere queste tracce del tempo e della mia storia trasformate dall’atmosfera. Non sapevo ancora perché volessi cogliere tutti questi dettagli a quel tempo, ma adesso so che volevo riconnettermi con il mio passato.

Stavo cercando il modo migliore per esprimere me stessa, attraverso la crudeltà del reale, portando alla superficie qualcosa di intatto, in maniera quasi infantile: le nostre origini, senza alterazioni o modifiche.

Qual è la funzione della presenza umana in queste foto apparentemente vuote dove però ci sono tracce di presenza umana sullo sfondo?

Questa si intitola “città fantasma” e lo scenario era una città immersa nel deserto. La sabbia era ovunque, entrava e invadeva le case e le stanze. Ho fatto questa foto in una casa dove la sabbia si era ripresa ogni cosa. Mi piace molto quando la natura si riappropria di quello che le apparteneva. Le tracce del tempo erano presenti in ogni oggetto, qui.

Black & White, Africa, 2006

Quest’altra è stata fatta in Namibia, in un posto chiamato Valle Morta Sossusvlei, che è anche un luogo privilegiato per i fotografi di moda; un luogo magico e antico dove andavano i boscimani. La valle ha questi colori speciali per via dei minerali nella sabbia. Si tratta di un luogo impervio, caldissimo. Tronchi di alberi vecchi di mille anni si sono anneriti nel tempo, e appaiono come scheletri, il legno non si decompone perché l’aria è arida. Sembrano sculture che si stagliano sulla sabbia sbiadita e sul deserto arancione che circonda la valle.

Namibia 2006 – Photo Courtesy of the artist

Hai usato una pellicola o una macchina digitale?

A un certo punto ho usato una macchina digitale. In precedenza, avevo lavorato solo con pellicola tradizionale. Allora volevo che le foto avessero una qualità da esposizione e quindi stampavo in digitale su carta di cotone. Ogni fotografia è un’opera artistica unica. La carta fotografica è fondamentale per il risultato che si vuole ottenere, una volta che l’immagine è stampata. La carta di cotone mi ha consentito di ottenere un assorbimento ben preciso delle sfumature in bianco e nero e dei colori intensi.

Dopo la fotografia hai cominciato a lavorare sulla pittura?

In quel periodo non avevo uno studio e quindi lavorare sulla fotografia era più facile. Ho iniziato a dipingere dopo il 2006 ma non mi sentivo ancora pronta dal punto di vista formale. Qualche anno dopo ho avuto mia figlia. Per un certo tempo non sono riuscita a concentrarmi sul lavoro. Non avrei mai immaginato quanto si possa crescere e imparare da un figlio, quanto tutto sia diverso quando cerchi di conciliare la vita personale con quella di una figlia. Poi lei è cresciuta e io ho cominciato a lavorare come artista a tempo pieno.

All’inizio impiegavo pittura e fotografia, ma ancora non ero sicura, sentivo che qualcosa mancava. Ho lavorato su modelli di zebra, come si può vedere qui.

Remembrance, Brussels, 2017, Acrylic painting on plexiglas (Courtesy of the artist)
Zebra 2012 (Ph. courtesy of the artist)

Ho ottenuto un cambio di prospettiva rispetto al modo e al punto da cui si guarda al dipinto, visto da un lato, la figura scompare. Ho ottenuto la trasparenza grazie alla carta. Ho iniziato a usare diverse tecniche insieme: fotografia e legno, legno e tela con una base in legno e dei collage fatti di foto e carta. Però non ero ancora soddisfatta. Stavo sperimentando e cercando di trasformare tutto quello che avevo fatto fino ad allora in un nuovo linguaggio che ho portato avanti. Ho iniziato a usare il plexiglas, poi, sovrapponendo due strati e cominciando a elaborare le spirali che chiamo “life energy”.

Energy (Ph. courtesy of the artist)

Per quanto riguarda il tuo lavoro attuale, come giungi a un oggetto o a una forma, perché scegli esattamente quella?

Nulla è immediato; prima di dipingere non è come se mi svegliassi e avessi una visione. Ho bisogno di alcuni giorni, persino di settimane per pensarci e sviluppare l’idea. È come un’immagine tridimensionale, comincio a vedere delle immagini e poi le metto insieme. A volte faccio degli schizzi o dei bozzetti su carta prima di andare avanti, poi le studio. È come avere un sogno e cercare di mettere i pezzi insieme dopo essersi svegliati, per completare il lavoro.

Il passo successivo è creare qualcosa di reale dai bozzetti. Mi avvicino allo studio piano piano pensando a un disegno più grande e poi decido quali colori usare, quanti strati ci saranno e come procedere per creare il tutto.

Oggi ho meno timore di fallire e sono più aperta all’uso di diversi materiali. Forse sono anche più sicura di fare delle cose invece che esitare, insomma, mi avventuro di più in nuovi percorsi. Ho imparato che attraverso gli errori si creano nuove tecniche e si fanno nuove esperienze che portano a una maggiore crescita creativa. A volte devo fare un passo indietro per vedere meglio quello che ho di fronte. È un po’ come nella vita, le nuove creazioni devono essere viste e riconosciute.

Il movimento nelle tue opere ha un significato simbolico?

Nelle mie opere il movimento si collega alle emozioni, sì. Per molto tempo ho pensato a cosa avrei voluto rappresentare come artista, cosa mi interessava, quali effetti volevo raggiungere. Trovare il mio linguaggio ed esprimere i miei sentimenti e quelli delle persone intorno a me, in particolare le emozioni, è stato un tema che ho sempre percorso. Nel tempo, ho scoperto che era sempre più difficile parlare con qualcuno e scambiare delle idee. Dobbiamo nutrire le possibilità che abbiamo di leggere le espressioni, come trasmetterle al meglio e come stare e interagire gli uni con gli altri. Dovremmo imparare ad essere come bambini che non hanno paura di seguire i sogni senza altri filtri. Purtroppo, sta diventando sempre più difficile esprimersi emotivamente.

Forse vengo da un altro periodo e da un’altra generazione in cui è importante condividere i sentimenti con gli altri. Nella mia famiglia era importante parlare di tutto, fare spazio e trovare il tempo di farlo. Oggi, vedo che avere tempo e spazio per le emozioni è sempre più raro. È come se si dovessero mettere da parte e produrle, avere un’immagine di sé invece che semplicemente essere se stessi, essere coraggiosi al punto da avere la propria individualità. Oggi tutti vogliono avere una personalità unica, essere individui speciali. Tutti si comportano come se fossero unici per finire un po’ banali, se riesco a dare l’idea.

Per via della pressione dei social media, la pressione di essere lodati e di piacere per forza, la solita contraddizione tra superficie rispetto ad autenticità e profondità?

Tutti fanno una gran fatica ad apparire speciali ma poi nessuno lo è davvero perché tutti fanno la stessa cosa. Per questo è particolarmente importante per me connettersi ed esprimere le emozioni in forme e colori semplici. Trovare il tempo e lo spazio per esprimere pensieri ed energia è fondamentale. Mi chiedo sempre, quasi come una terapeuta, cosa ci rende umani e quali valori vogliamo insegnare ai figli per il loro futuro. A causa di questo eccesso di informazione nei social media e di questa pressione sociale, dovremmo concentrarci su ciò di cui abbiamo bisogno. Penso che oggi l’arte sia una necessità per trovare tempo e spazio per comunicare e connettersi spiritualmente.

Non dovremmo avere il timore di essere imperfetti o di non procedere con il flusso. Le differenze ci rendono speciali e unici. Pensiamo a come sarebbe triste il mondo senza culture e religioni diverse? Oggi mi rendo conto che sta diventando sempre più necessario esprimere emozioni di amore, rabbia e solitudine perché tutti abbiamo il diritto di viverle ed esprimerle quando è necessario.

Quindi, mi chiedi perché le forme sembrano muoversi… Per me le emozioni sono come l’energia e il movimento. Tutto ciò che si muove è energia, anche le sensazioni emotive sono energia. Le emozioni generano energia e movimento e condividerle è condividere l’energia che producono.

Come sei arrivava all’uso del plexiglas per modellare queste forme a spirale e questi modelli ipercolorati?

Amo il Plexiglas perché è trasparente, una qualità che permette di giocare con il visibile e l’invisibile, attraverso la luce e lo sfondo. È molto difficile per un artista riuscire in questo perché è come creare un mondo che altrimenti non esisterebbe. Le forme cambiano molto a seconda di come le si guarda. Le forme dei miei lavori attuali cambiano con le ombre che proiettano sullo sfondo, anche usando una diversa illuminazione. Lo sfondo diventa parte integrante del dipinto o della scultura, collegandola a ciò che le sta intorno come un corpo umano con l’anima. Spesso queste emozioni e pensieri sono miei, a volte vengono da altri che le hanno messe in evidenza con prospettive diverse. Le emozioni possono nascere da belle esperienze o da esperienze negative; possono trasmettere idee che anche altre persone condividono. Il mio lavoro è incentrato molto sulla connessione; in fondo penso che tutti noi siamo connessi da un punto di vista energetico. A volte è come si vuole vederla, i colori e la frequenza che si vedono, il lato da cui guardi, cambia tutto.

Finding my middle, 2018 (Ph. Courtesy of the artist)

Come descriveresti il tuo processo creativo?

Di solito, quando lavoro, non penso a come le persone guarderanno l’opera, lo faccio un po’ per me. Durante il processo creativo non vedo subito quello che sto facendo. Seguo il mio istinto e la sensazione necessaria a esprimerlo e mostro quello che vedo. Ho dedicato molto tempo alla sperimentazione, è stato un processo necessario. Persino oggi penso di avere ancora spazio per crescere, imparare e collegare materiale filtrato trasformandolo in nuovo significato. Una delle ragioni per cui amo essere un’artista è che non ti fermi mai e continui a imparare e crescere.

Come vedi il tuo ruolo di fronte al pubblico?

Credo che ci voglia parecchio coraggio a essere artisti per essere se stessi e comunicare visivamente quello che è importante per te. Credo che questo riguardi non solo gli artisti ma l’essere umano in generale. Abbiamo tutti una voce, abbiamo però la responsabilità di usarla bene. Sono felice di aver avuto la possibilità di partecipare a una mostra collettiva a gennaio 2017 al Parlamento europeo di Bruxelles per il Giorno della Memoria, una mostra curata da Ermanno Tedeschi dal titolo “Il Segno della Memoria”.

La mia sfida più grande è di guardarmi indietro un giorno e sentire di aver cercato di fare la differenza. Credo che l’arte sia sempre uno specchio del tempo e della società in cui viviamo. La bellezza è relativa e si riflette in maniera diversa: questo rende l’arte unica e ci dà la libertà di creare e parlare liberamente. Non voglio sentirmi limitata perché, in fondo, siamo tutti passeggeri in questo mondo e non vivremo in eterno. A volte dimentichiamo di essere mortali e saremo fortunate se la memoria di noi ci sopravviverà un giorno. Vorrei vivere la mia vita di artista, di donna e di madre. Vorrei essere una persona di cui mia figlia possa essere orgogliosa. Vorrei che potesse dire, questa è mia madre e so chi è. La famiglia è importante per me, è il mio fondamento.

Chi sono gli artisti da cui ti senti ispirata?

Amo Mirò e Georgia O’Keefe, che come me amava la natura. Passò molto tempo nel deserto del Nuovo Messico dove ha creato molti dei suoi lavori. Georgia O’Keeffe è stata anche riconosciuta come una delle artiste più importanti d’America, la madre del modernismo americano. Nelle mie forme e spirali, si può vedere molto femminismo. Essere una donna nel mondo dell’arte mi fa capire quanto possa essere stato difficile per lei. Quando lavoro, ci tengo a mantenere la mia femminilità e penso che sia molto presente e cruciale esprimerlo. Quindi sì O’Keeffe mi ha ispirato molto.

Amo molto anche Josef Albers, la sua teoria del colore e le diverse tecniche che aveva sperimentato sono particolarmente importanti ancora oggi. E poi ci sono i futuristi, in particolare Giacomo Balla che ha influenzato il mio lavoro per quanto riguarda dinamica e movimento. A New York vidi “Forme uniche di continuità nello spazio” di Umberto Boccioni al Moma, un’opera che ha influenzato molti artisti. Amo anche Carla Accardi e l’uso dei colori che fa, il flusso di energia dei suoi dipinti. Era una donna che viveva e lavorava negli anni Cinquanta, una cosa difficile e molto rara se pensiamo al successo in certi contesti. I suoi motivi geometrici sono iconici, ormai.

Torniamo alle tue opere… devo confessare che quando le ho guardate la prima volta ho avuto l’impressione di avere un senso di liberazione con quella qualità ipnotica di un oggetto per il quale non devi immediatamente pensare al significato a tutti i costi. Ho sentito di godere dell’esperienza di guardare senza dover cercare un significato sottostante o implicazioni sotto testuali. Un’esperienza estetica che si era liberata dalla nozione preconcetta di utilità, in sostanza.

Bello, metterla così. Ogni artista sarebbe felice di sentire che la propria arte ha creato questo tipo di emozione. Per questo i colori sono così importanti nel mio lavoro, specialmente i colori primari.

Come associ le emozioni ai colori? I colori vengono da intuizioni. Amo il blu e il rosso e i colori fluorescenti, in particolare per il modo in cui catturano e restituiscono la luce. Per questo uso certi colori nelle mie sculture. Con il plexiglas ti basta un raggio di luce per sentire l’energia cromatica. Questo è talvolta il modo cui si creano le emozioni, basta una scintilla, come se qualcuno accendesse una luce.

Sun Ray, 2021 (Ph. Courtesy of the artist)

Come procedi dall’idea al progetto nella preparazione dell’oggetto? Ciascuno di essi è unico, ovviamente.

Sì, ogni oggetto è unico, impossibile altrimenti con la lavorazione manuale.

Di solito faccio degli schizzi di quello che voglio realizzare: una spirale o delle forme dinamiche. Provo poi a modellarle, sono le stesse ma diverse, a volte sembrano simili, ma mai uguali.

Diversi colori, diversi strati, l’opera diventa una specie di rituale, una specie di atto di meditazione. Sperimento sempre nuove tecniche per cambiare un po’ la forma che a volte è simile, ma cerco di usare diverse forme per esprimerlo. A volte uso la carta, la ritaglio, la ripiego e la ruoto per vedere come appare prima di lavorare il plexiglas. Ultimamente ho cominciato a sperimentare nuovi materiali come l’argilla e il metallo per creare le mie forme; quelle che ho fatto negli anni, a partire dai dipinti delle zebre, sono presenti in tutti i miei lavori, ed esprimono il movimento, l’energia, il pensiero. A un primo sguardo, il mio lavoro sembra un mix caotico di elementi, ma a uno sguardo più ravvicinato si può vedere che tutti i pezzi si collocano in maniera specifica per creare nuovi movimenti.

Qui gli strati sono separati l’uno dall’altro e contengono i colori…

Ogni strato è dipinto con l’effetto finale che crea diverse sfumature perché l’intensità di ogni colore è diversa. L’effetto cromatico dipende anche dal numero di pennellate, cosa che cambia l’intensità appunto.

Blue Feeling, Acrilico su collage e plexiglas, 2018 (Ph. Courtesy of the artist)

Le tue opere contengono musica, vedo e sento della musica con il movimento. Questo in particolare si intitola Music 4 Tunes, musica a quattro tonalità con un bel gioco di parole in inglese…

Amo questo titolo, voglio trasmettere le emozioni attraverso il movimento ispirato dall’andamento della musica. Qui gli strati sono giunti insieme ma ciascuno prende la luce singolarmente come se fosse uno strato a sé.

Suono il piano e la musica è entrata nella mia pittura. Le due cose si fondono a volte: la musica comincia piano e poi cresce, si espande e diventa più intensa. Le mie opere sono ispirate molto alla musica. È qualcosa che puoi sentire intensamente ma che non puoi vedere e cerco di metterlo sulla carta o sul plexiglas. Immagina di cercare di lavorare a un’immagine di diversi pensieri, memorie e momenti della tua vita e di metterli su carta.

Music 4 Tunes, 2019 (Ph. Courtesy of the artist)

Queste linee, questi motivi, mentre riflettono quello che si può vedere in natura, si trasformano in motivi equilibrati e artificiali nella pittura o nella scultura, combinando forme dinamiche, musica e pensiero.

Sono felice che la musica sia percepita. Se guardi ai colori, sono nero e oro e i triangoli riflettono la musica del pianoforte. Ho cercato di imbrigliare questo momento fuggente e di trasformarlo in una forma permanente.

Cosa pensi del cambiamento che stiamo attraversando dall’umano al digitale e come possono le emozioni bilanciare questa grande svolta?

Penso che la cosa più importante sia quello che ci differenzia come umani. Cosa ci rende diversi dai computer e dalla tecnologia? Avere la possibilità di esprimerci emotivamente, ma anche provare empatia, avere libero arbitrio e la possibilità di scegliere lo spazio e l’ambiente in cui viviamo. Questo è qualcosa su cui dovremmo lavorare instancabilmente a partire da adesso, e continuare senza dimenticare cosa ci rende umani.

Sono artista e ottimista, è importante per me condividere e osare. Credo che viviamo in un tempo di cambiamenti ma non tutta la tecnologia è cattiva, dipende molto da cosa ne facciamo. Le informazioni sono subito disponibili alle persone ma dobbiamo essere cauti sulla loro qualità.

Il mio sogno e la mia visione sono di usare la conoscenza e la tecnologia per vivere una vita migliore insieme, senza perdere l’amore e il rispetto per i viventi.

© Photos: Courtesy of the artist

Per saperne di più su Brigita Huemer Limentani: www.brigitahuemer.com

Cataloghi e bibliografia: Brigita Huemer Limentani, Emotiva, 2018 Carlo Cambi editore

Brigita Huemer Limentani, Black & White (photography)

Brigita Huemer Limentani, Kia Orana (photography) Brigita Huemer Limentani – Angelica Romeo Arte in circolo, Galleria Muciaccia, Roma.


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