Animali notturni di Tom Ford

Se vi piacciono i film dall’allure raffinata, il dolore della perdita, le storie dentro le storie, Los Angeles vista come una lontana distesa di gioielli luccicanti e la classica, inquietante violenza del sudovest, la crudeltà delle differenze di classe, l’impossibilità della vendetta e l’irredimibilità della vita attraverso l’arte, andate al cinema a vedere Animali notturni di Tom Ford. Anche se mi è stranamente difficile capire se il film meriti una recensione entusiastica o una fredda e compassata disamina della sua struttura, non posso negare che il film sia bello, inquietante, triste e cupo, doloroso e perversamente affascinante.

È un film esteticamente curatissimo, raffinato, con una struttura narrativa elaborata (tratto dal racconto Tony & Susan di  Austin Wright, ma scenaggiato da Tom Ford in persona) e attori ammirevoli (Amy Adams nel ruolo di Susan, Jake Gyllenhall in quello di Edward e Tony, Michael Shannon in quello dello sceriffo e un notevole Aaron Taylor-Johnson che aveva interpretato Kick-Ass qualche anno fa nel ruolo di Ray Marcus), una colonna sonora commovente (Abel Korzeniowski) e un uso squisito  degli stereotipi topografici americani, per non parlare dei costumi, dei set, della fotografia, del trucco… Chiunque ami il cinema e il gioco di riconoscimenti iconici,comprese diverse influenze letterarie (Cormac McCarthy e Jim Thompson, citati da diversi critici*), non può uscire insoddisfatto. E non si può nemmeno negare che Animali notturni vi susciterà delle reazioni contrastanti, risulterà persino un po’ irritate perché il lusso vi disturberà più della violenza e vi ricorderà, nonostante l’artificio e la finzione del cinema, che la vita per alcuni è ingiusta, crudele, e il dolore redimile, forse, soltanto attraverso la letteratura o la vendetta dell’indifferenza. Magra consolazione.

Image result for nocturnal animals movieAmy Adams in una scena finale del film.

Come accade quando si guardano certi bellissimi servizi di moda pubblicati sulle riviste, a guardare questo film ti viene il dubbio che si tratti di un’opera troppo elaborata e troppo abilmente costruita per essere autenticamente onesta. In realtà Animali notturni è un film sulla consapevolezza (ambivalente) dell’orrore in cui viviamo, dell’orrore in cui può cadere la vita, del fascino indiscreto della borghesia che, non più intrappolata a porte chiuse, è definitivamente incapsulata nel suo mondo di suppellettili mortifere e opere oscene. Credo che Tom Ford, alla sua seconda prova di regia, sia stato assai sensibile e onesto e abbia fatto un film spietato sia quando mostra il glamour sulle colline di Los Angeles, sia quando scende in basso tra la polvere e le pianure desolate del Texas. Nonostante i suoi trascorsi nel più falso, effimero e filisteo dei mondi come quello della moda, è riuscito a costruire un film di grande impatto visivo e di raffinata elaborazione intellettuale riprendendo un leitmotiv caro a molti registi intellettuali: la letteratura come strumento di redenzione ma anche come strumento di vendetta.

Costruito come un racconto dentro il racconto, Animali notturni è un film di simmetrie narrative e visive e di correlativi oggettivi, un racconto sfuggente sulla vendetta e sull’autenticità dell’atto creativo e, difficile dire fino a che grado di consapevolezza, una rappresentazione dell’invalicabilità delle differenze di classe e della necessità di esserne coscienti per non soccombere al proprio stesso destino.

Mettere insieme due mondi così distanti, il lussuoso mondo dell’arte di Los Angeles, stereotipato e asettico nella sua perfezione estetica e quello cupo e brutale del sudovest, con un altro stereotipo altrettanto consolidato della violenza che vi si svolge, è il risultato più insolito per un regista come Tom Ford, che resta intrinsecamente americano, anche se dichiara di sentirsi europeo. Due mondi tanto distanti e in contrasto non solo nella realtà ma nella stessa rappresentazione finzionale si erano visti, anzi letti, solo in quel bizzarro e geniale romanzo che è The Day of the Locust di Nathaniel West, dove il grottesco regna sovrano e la città è solo un’accozzaglia di disperati alla ricerca di un senso. In Animali notturni, invece non ci sono né il grottesco né il perturbante (se si escludono le opere viventi all’inizio del film che mostrano le carni tremule e denudate come bestie in mostra sul teatro dell’oscenità o il toro trafitto di Damien Hirst e il cane di metallo che rappresenta a sua volta un cane di palloncini di Jeff Koons, che non sono né grotteschi né perturbanti, ma solo molto molto desolati e desolanti), ma un invisibile e impermeabile linea di confine tra le classi.

Saint Sebastian, Exquisite Pain Damien Hirst, San Sebastian, exquisite pain, 2007 (che carognata un’opera così!).

Da una parte il ricco mondo vuoto e apparentemente privo di senso (per chi non ci campa economicamente) dei ricchi losangeleni sfiorati dal mal di vivere e avidi di opere sconnesse e potenti, come quelle mostrate in tutto il film; dall’altra il mondo sporco, brutale, osceno della wilderness rappresentato come un ambiente ostile popolato di esseri selvaggi, orrendi, personificazione del male puro e dell’incubo che rappresenta. È anche un film sulla perdita irreparabile e sull’invalicabilità dei muri sociali, sul vuoto esistenziale e sul rimpianto, sulla scrittura come rappresentazione dell’esperienza e tentativo fallito di redimere il dolore, sull’arte che risulta artificio nel tentativo mal riuscito di rappresentare la morte, sulla violenza come atto cieco e infame del caso. La violenza, presenza costante nell’immaginario americano: artificio narrativo e metafora drammaturgica.

Susan, la protagonista, è una gallerista d’arte che vive in un mondo fastosamente ricco, circondata di comodità e apparente perfezione, dove la bruttezza e l’inquietudine della morte sono relegati all’elaborazione che ne fanno i preziosi e costosi artisti di cui vende le opere, anche se lei si sente infelice e sgomenta di fronte all’esistenza, consapevole di avere a che fare con della “spazzatura” (junk, come la chiama a un certo punto della serata mondana). Durante una cena con amici le viene detto da uno di loro, pienamente a proprio agio nella vuotezza della cosiddetta esistenza patinata, ma nella pienezza del conto in banca, che “il mondo reale è molto peggiore del mondo in cui viviamo noi” e per un momento si ha la sensazione che la falsa coscienza abbia un’occasione per rivelare qualcosa di autentico, al di là dello sgomento di Susan di fronte alle reticenze del marito perfetto e bellissimo o dei consigli strampalati ma pragmatici dell’amica (una simpatica variante californiana di Marta Marzotto, caftano e gioielli compresi) che le consiglia le pasticchine per il sonno nel modo in cui solo le americane smart sanno fare.

Image result for nocturnal animals film artworksUna delle scene iniziali del film, con Susan alla galleria accanto a un’opera vivente della sua performance.

Tra completi impeccabili dai colori esclusivi e inaccessibili a chi vive di stipendi normali, all’asettica e spettrale simmetria dei musei di arte contemporanea, abitati da ectoplasmi gonfiati di botox e arroganti assistenti vestite come personaggi da fumetto, la vita di Susan sembra una rappresentazione senza orrore di certi personaggi a metà tra Cronenberg e Ballard, dove però manca il perturbante.  Forse parzialmente rimosso dalla piacevole sensazione di vivere nell’agio permanente o talmente omnipervasivo da dimorare ormai perfettamente integrato anche nelle pieghe più banali dell’esistenza nella sua forma più latente (una doccia calda, un letto morbido, un caminetto che scoppietta, un dito che si taglia con la carta del pacco trasmettono sempre una certa sensazione di mancanza di controllo, di inquietudine), il perturbante resta per lo più confinato e intrappolato nelle opere di cui si circondano gli abbienti che devono inventarsi il dolore ma non riescono a cacciare la paura della morte. E la morte è ovunque in questo film: come paura, come proiezione, come rappresentazione artistica, come rappresentazione drammaturgica, e anche come evento traumatico di ciò che muore prima ancora di nascere. Il toro infilzato di Damien Hirst (San Sebastian, Exquisite Pain) e l’inutile barboncino artificiale di Jeff Koons, in formato gigante, tristemente troneggiante sul bordo della piscina in cemento di Susan, occhieggiano alla morte come rappresentazione e oggettivazione di un’ansia che accomuna tutti i viventi, soprattutto quelli artificiosi che si aggirano truccati di tutto punto (ancorché un po’ esageratamente, vestiti come modelli di Vogue, a volte vuoti e patinati, a volte impasticcati per sopportare l’indefinibile dolore esistenziale  che circonda le loro vite insieme ai quadri, alle architetture, alle suppellettili.

Un giorno Susan riceve un pacco che contiene un manoscritto dal titolo “Animali notturni”; l’autore è l’ex marito, Edward Sheffield, (interpretato da Jake Gyllenhall) che lei ha lasciato un po’ crudelmente diversi anni prima, relegando il rimpianto della scelta al pragmatismo tipico dell’appartenenza di classe, quando il ricco si rende conto che il capriccio di stare con uno di ceto più basso, dalle scarse prospettive professionali, non può che peggiorare la situazione sbilanciata del rapporto. La lettura del romanzo apre la porta a un’altra storia, ambientata nelle piane desolate del Texas, dove, tra strade infinite e solitarie il protagonista del libro, Tony, e la sua famiglia si stanno recando in una località chiamata Marfa. Durante il viaggio in macchina incontrano malauguratamente tre balordi decisamente aggressivi che presto si trasformano nel peggiore incubo che si possa immaginare quando si pensa al pericolo su una strada desolata del Texas e magari non c’è campo per il cellulare e l’unica macchina della polizia che passa invece di fermarsi, continua a sfrecciare imperterrita verso chissà dove. Per Tony e la famiglia inizia un calvario condito della peggiore violenza, le due donne vengono portate via dai ceffi e per lui non resta che scappare alla ricerca della polizia. La latente aggressività del capobanda che si trasforma in violenza montante , strade morte o perdute nella pianura, il buio della notte dove dimora l’orrore, la sensazione di essere animali braccati, la disperazione, il terrore sono elementi descrittivi usati di frequente nelle narrazioni che hanno quelle parti come sfondo (ho un vago ricordo di un racconto di Joyce Carol Oates, intitolato Man Crazy nel quale il protagonista sociopatico sembra ispirare il Ray Marcus del film). Molti critici hanno invocato Cormac McCarthy; il film mi ricorda più Jim Thompson e i suoi psicopatici; il regista ha pensato a In Cold Blood di Truman Capote, e alcuni critici ricordano la cinematografia di David Lynch e io ci metterei pure l’inquietante desolazione di Psycho, col suo motel perso nella solitudine delle lande del sudovest. In sostanza, c’è molto dell’America che ha plasmato il cinema e l’immaginario di violenza latente che ne ha attraversato i racconti.

Image result for nocturnal animals movie

La storia di Edward su Tony comincia a ossessionare Susan, che vediamo in gran parte leggere il romanzo con l’intensità tipica del lettore “agganciato” e immaginare che quella storia è la loro storia e che la violenza narrata (che gli spettatori vedono rappresentata sullo schermo) è forse la trasposizione del male vissuto davvero da Edward. È lui che vuole mandarle un messaggio e raccontare una storia che hanno vissuto? O si tratta semplicemente di un romanzo che racconta la malasorte di tre malcapitati e la vendetta che si dipanerà nella più dolorosa delle maniere? Il male nel romanzo colpisce alla cieca, come atto casuale del destino? O invece si tratta di una costruzione finzionale con lo scopo ben preciso di ferire la lettrice privilegiata di quel racconto, suscitando in lei il ricordo del dolore subito da lui per altri eventi e per altre circostanze? In realtà Edward e Susan sono stati insieme anni prima ma la loro storia è andata male e lei lo ha lasciato nel peggiore dei modi, sottraendogli anche l’ultimo barlume di fiducia, sfilandosi dalla coppia e criticando aspramente gli scritti di lui, scrittore ancora alle prime armi. Negli anni il rimpianto ha covato e Susan sembra ancora in preda ai rimorsi e ai sensi di colpa, resi ancora più dolorosi dalla lettura del romanzo.

Ecco, questo è un esempio di come raccontare questa storia riesca a banalizzarla e a renderla una specie di dramma borghese, ma non è così. Il film è visivamente sontuoso, esteticamente raffinato, squisitamente elegante quando l’ambientazione lo richiede, insopportabilmente duro e spietato quando la storia salta in Texas tra la polvere, il sangue, le pistole, le stoppie della prateria, la morte e l’irredimibile potenza della vendetta.

Credo che avesse ragione John Sayles, quando fece dire a uno dei suoi personaggi in Lone Star, film bellissimo ambientato anch’esso in Texas, che il luogo dove siamo nati non ci lascerà mai, che al luogo dove siamo nati apparterremo sempre. Non so quanto se ne sia reso conto Ford in questo film quando ha scelto di rappresentare due luoghi iconici del suo paese e del cinema che ne ha modellato l’estetica e la coscienza. La superficie patinata che è stata colta dal suo sguardo elegante e circostanziato, modellata e resa affascinante dall’elaborazione estetica, viene lacerata, come lo è la vita apparentemente perfetta di Susan, dall’irruzione di un elemento primordiale e animale che riaffiora dal profondo di una natura lontana e ferale, di una circostanza che solo in un film americano si poteva concepire. Per quanto colta, civilizzata, patinata, l’America senza un luogo insondabile, brutale, selvaggio di violenza e orrore sarebbe un posto estremamente noioso e morto come la carne in formalina conservata nei musei e venduta a milioni di dollari. La potenza della creazione autentica sta nel tirare fuori l’anima selvaggia delle cose, il dolore, il rimpianto, la morte autentica tornando alle origini del luogo in cui si è nati, senza passare per le squallide elaborazioni artistiche che marcano la nostra epoca miserabile. Ma che uno come Tom Ford abbia scelto anche lui di partecipare al gioco di stereotipi è davvero sorprendente e nonostante tutto incredibilmente affascinante. Piccola nota a margine: Tom Ford è nato a Austin, Texas.

 

*  https://www.theguardian.com/film/2016/sep/02/nocturnal-animals-review-tom-ford-returns-with-wildly-gripping-revenge-tale

**In un articolo pubblicato su Hollywood reporter, qui 

 

 

 


Leave a comment