True Detective, Southern Gothic e due note sul TV drama

Il bello dei Tv drama è che si portano bene anche fuori stagione, per cui mi sono rivista i primi due capitoli in attesa che esca la terza stagione di True Detective, la cui lavorazione è annunciata per febbraio di quest’anno, sulla base di quanto dicono su ScreenRant: si sa per ora che sarà ambientata negli Ozark (stando sempre alle notizie che ho raccolto ad oggi) una regione compresa tra Oklahoma, Arkansas, Missouri e Kansas. Speculando un po’ è quasi sicuro che si tratterà di un altro tuffo in un’area dell’America profonda, come è stato per la Louisiana del primo capitolo e per la California di Vinci nel secondo (che poi è Vernon nella realtà). Considerando quanto l’ambientazione sia stata centrale nell’immaginario delle prime due serie, non si può fare a meno di chiedersi se la letterarietà del primo capitolo e l’immersione noir del secondo non torneranno anche nella terza serie.

Nell’attesa di vedere cosa accadrà mi prendo una piccola soddisfazione nei confronti di tutti i tecnocrati e gli economisti che guardano ormai al mondo come la superficie su cui esercitare il controllo del pensiero unico, ignorando il ruolo fondamentale della letteratura, del cinema e della fiction nel tentare di offrire una visione del mondo sicuramente meno astratta di quella tecnocratica a cui tutti dobbiamo pagare pegno, se non altro in termini esistenziali. Dico questo perché oggi mi pare che si stia assistendo a una vera e propria ondata di entusiasmo nei confronti della fiction e delle modalità composite con cui  rappresenta la realtà, intercettando un sentimento diffuso di pessimismo e scetticismo nei confronti di un mondo che ci rende nella maggior parte dei casi insoddisfatti se non addirittura infelici. A chi chiedeva qualche giorno fa a cosa serve oggi studiare letteratura se tanto servono soltanto tecnici e ingegneri, vorrei rispondere, citando Urzidil che in un commento estemporaneo ha risposto a uno di questi intelligentoni: serve magari a scrivere serie come True Detective. Questa e le tante altre serie che ci piacciono tanto dimostrano che conoscere Shakespeare, Faulkner, aver letto Ambrose Bierce, Chambers e ovviamente il solito grande E. A. Poe non è un passatempo da nerd o da maniaci (vabbè che in Italia, già a leggere un libro l’anno, quale che sia, si è considerati lettori abituali…) ma un modo per aggiungere allo sguardo un po’ più di ricchezza e restituire un po’ di immaginazione a quello che sarebbe altrimenti un mondo ordinario e squallido di vivere l’esistenza. Non dico che le serie debbano essere il nostro modo per uscire dalla realtà quotidiana, creando l’illusione di approdare a un mondo più interessante e divertente, ma non c’è dubbio che oggi, con la loro creatività, riescano a intercettare un sentimento generale di disillusione attraverso l’elaborazione di mondi metaforici, e sostanzialmente più capaci di rispondere alla grande trasformazione sociale che stiamo attraversando.

Qualche idea sulle serie TV in generale

Immaginiamo che non ci fossero più la letteratura, il cinema e le serie Tv. Immaginiamo che tutti i libri fossero andati al macero (uno scenario affrontato già in Farenheit 451, di cui si prepara una serie nel 2018) e fossimo tutti impegnati a fare lavori utili per il “bene” dell’umanità e del progresso. Per un certo tipo di immaginario, questa possibilità si trasforma nell’elaborazione di un mondo possibile e ci restituisce una visione che possiamo accettare come più o meno plausibile, come più o meno inverosimile, ma comunque in grado di toccare un corda, instillare una scintilla di riflessione, e aprire a un nuovo tipo di lettura delle cose. Pensando a come il Tv drama si è evoluto nel corso degli ultimi venticinque anni, a partire dall’innovazione aperta da Twin Peaks all’inizio degli anni Novanta, non si può pensare che senza la letteratura e gli spunti che essa offre sarebbe stato possibile trasformare il linguaggio di queste storie da Tv per farlo diventare quello a cui stiamo assistendo: macchine narrative potenti ed efficaci, per parlare del mondo in cui viviamo, anche quando sono totalmente irrealistiche, apparentemente inverosimili, persino un po’ folli. Macchine narrative che diventano a pieno titolo arte.

Credo che ci sia ormai in giro una generazione matura di scrittori per la Tv che, consapevoli dei mezzi espressivi acquisiti con un lavoro sulla letteratura e sul cinema, sono riusciti a compiere quel lavoro di sintesi che nel postmoderno veniva definito corto circuito tra cultura alta e bassa, rielaborazione dei referenti culturali, nuova sensibilità, smembramento di Orfeo, se per Orfeo intendiamo il modo canonico di fare letteratura e pensare al romanzo come forma compiuta. Purtroppo per tutti i letterati blasé che disdegnano l’immaginario a buon mercato del tv drama o che alzano un sopracciglio di fronte alle incursioni letterarie in storie tutto sommato essenzialmente popolari, la caduta dei confini di genere e medium è ormai a tal punto conclamata da farci persino dimenticare che sia mai esistita. L’umanità ha sempre avuto bisogno di narrazioni e oggi, la forma più popolare e più diffusa, quella che travalica i confini geografici e culturali e mette in circolo narrazioni diverse e composite, è rappresentata dalle serie Tv, in particolare quelle che raccontano e rappresentano mondi con un’efficacia che pochissimi romanzi, da soli, riescono ad avere. Penso a True Detective, da cui è partita questa riflessione, ma anche a Gomorra, il cui successo fuori dall’Italia è talmente clamoroso da risultare persino imbarazzante, data la nefandezza dei suoi personaggi e il problema che situazioni del genere rappresentano per l’ordine pubblico quando si mettono all’opera persone reali a cui sono ispirati quei personaggi. Ma il mondo della fiction o del Tv drama non è quello che il romanzo verista era per la società del tempo in cui era stato elaborato – un atto di denuncia e di presa di posizione rispetto a un problema di miseria e disgrazia sociale, almeno non più di quanto i truculenti drammi shakesperiani fossero per la società in cui venivano rappresentati. Il Tv drama, con le sue storie di nefandezza, di orrore, di crimine e corruzione o di fantascienza e fantasia in generale è inteso spesso come una forma elaborata e diffusa di intrattenimento che un tempo si sarebbe detto popolare, mentre a uno sguardo più profondo, mi sembra che stia cambiando la stessa percezione del pubblico e lo stia abituando a una visione più complessa e più consapevole non solo del medium televisivo ma di tutta la cultura che vi è immersa all’interno e questo grazie a una scrittura più consapevole dei suoi mezzi. Questa nuova scrittura non solo è di livello altissimo ma è finalmente più libera dai vincoli di segmentazione che consideravano il pubblico televisivo come dei pupazzi da imboccare.   A tutti quelli che non riescono a riconoscere le influenze letterarie nemmeno quando le vedono dietro le spalle di un personaggio come Gordon Cole (quello di Twin Peaks, per intendersi, e non quello di Sunset Boulevard) vorrei dire, ammesso che mai mi leggeranno, “fatevene una ragione: leggere Kafka può essere utile non solo per capire Twin Peaks ma per gettare uno sguardo su quello che vi sta intorno”.

Non voglio dire che bisogna essere critici letterari a tutti i costi quando si guarda un tv drama, anche se può aiutare ad arricchire le interpretazioni e a mettere in luce alcuni punti forti della narrazione. E non voglio nemmeno che si debbano ritenere abusi o plagi alcuni contenuti letterari nella narrazione filmica o televisiva, sminuendo il valore di uno script davvero bello, con l’atteggiamento tipicamente blasé di alcuni letterati vecchio stile che disdegnano il grande contributo che la scrittura da film aggiunge al grande calderone che va sotto il nome di fiction. Voglio invece dire che la scrittura di quel formato ormai entrato nella nostra vita che è il Tv drama è di qualità così alta oggi, da surclassare non solo molti romanzi di intrattenimento decisamente sopravvalutati, ma anche di superare in creatività e innovazione narrativa il cinema da grande schermo con le sue ormai evidenti banalità supertecnologiche e personaggi un po’ cretini (a parte qualche eccezione). E quindi, quella del Tv drama oggi è un tipo di narrazione che richiede una critica composita e articolata che sia capace di mettere insieme approcci diversi e meno settoriali di quanto non si veda in giro e in grado di riconoscere, finalmente, quanto gli elementi letterari siano ben orchestrati all’interno di una narrazione per immagini estesa e dilatata; e questo grazie al contributo di scrittori e sceneggiatori di grande qualità.

Tornando a True Detective…

Nel caso di True Detective la portata della sceneggiatura è senza ombra di dubbio grandissima, sia nella prima che nella seconda stagione e un motivo in più per capire come il risultato finale del lavoro di costruzione, rappresentazione, narrazione e confezionamento del prodotto finale (purtroppo dobbiamo usare questi termini da catena di montaggio) debba molto alla scrittura di partenza anche se ci sono dei non sequitur e qualche incoerenza qua e là. Con questo non voglio sminuire l’apporto, ovviamente fondamentale, della regia, e di tutte le componenti tecniche (dal suono alla fotografia e tutto il resto) non ultima la recitazione e il ruolo degli attori già ampiamente riconosciuto da chi ci capisce più di me. Per ora mi voglio concentrare su alcuni aspetti di True Detective, che poi era l’intento con cui avevo aperto questo post, tracciando una mappa dei riferimenti che mi sembrano più rilevanti per giocare al riconoscimento dei sui referenti letterari. Questo perché credo che il lavoro di Nic Pizzolatto, già riconosciuto da quando la prima stagione era uscita ormai tre anni fa, sia stato notevole sia nella prima che nella seconda stagione, nonostante quest’ultima abbia attirato più critiche che lodi e abbia deluso molti sia all’interno dell’industria (a partire dai critici più noti) sia tra il pubblico in generale. Sono tra quelli a cui la seconda stagione è piaciuta, in alcuni momenti persino più della prima, per una serie di motivi squisitamente letterari che potranno avere poco a che fare con la coesione drammaturgica strettamente televisiva ma che hanno molto a che fare con l’atmosfera esistenziale che pervade questo noir dei nostri tempi che è TD2.

C’è ancora posto per la letteratura?

La letteratura non serve soltanto a scrivere bene (un’attività, quest’ultima, a cui si approda dopo aver letto tanto e bene) ma anche a capire di cosa si parla quando si guarda quel genere di cose che si chiama TV drama e ci si sente coinvolti emotivamente, persino istintivamente, riconoscendo che il mondo possibile che stiamo guardando, e che ci stiamo facendo raccontare, contiene uno sguardo che possiamo sentire un po’ anche nostro, con cui misteriosamente ci identifichiamo e ci lasciamo coinvolgere come se si trattasse di vivere un’estensione della nostra vita altrimenti troppo inaridita da calcoli statistici, obblighi morali, abitudini asettiche e ripetitive, personalità squallide fin troppo reali e situazioni noiose.

Detto questo, credo tuttavia che oggi le serie TV stiano sostituendo l’aspettativa che un tempo molto lontano (nell’Ottocento, per esempio) i lettori avranno certamente provato per il romanzo d’appendice, tipo I bassifondi di Parigi di Eugene Sue che veniva pubblicato a puntate o per i grandi e avvincenti romanzi di Honoré de Balzac, quell’entusiasmo spinto dal lavorio dell’immaginazione e dal bisogno di intrattenimento, dall’esigenza di identificarsi e dalla ricerca di modelli narrativi, sociali, comportamentali a cui fare riferimento per comprendere il mondo in cui si viveva. Nel Novecento questa cosa è stata fortemente influenzata dal cinema che, come diceva Wenders, ci ha colonizzato l’anima, modificando persino la nostra vita onirica e la nostra percezione della realtà. Non so se questo abbia aiutato a modificare il modo in cui guardiamo alla realtà: né il cinema né la letteratura hanno mai cambiato il mondo né credo che lo faranno mai. Il cinema però ha aggiunto qualcosa che prima non c’era. Orson Welles diceva che il cinema è poesia e credo che sia ancora così, anche se quello contemporaneo puramente industriale non riesce più a trasmettere emozioni autentiche e spontanee (sarà un fatto generazionale, ma non trovo casuale che un film come Star Wars si deve fare metatestuale quando vuole far scattare nello spettatore qualche segno di emotività).

Se su un piano tecnologico il cinema mostra un’evoluzione tecnica davvero impressionante, persino sovradimensionata rispetto alla qualità di certe storie, il modulo del racconto filmico contenuto in un tempo limitato, vincolato a un sistema di produzione e di distribuzione troppo costrittivi, obbliga a scelte che trovo spesso molto piatte e troppo ripetitive. Aggiungiamo pure la crisi della creatività che affligge l’industria hollywoodiana e la stupidità di certi copioni,  ed ecco che ci si ritrova da spettatori alla ricerca di qualcosa di diverso. D’altro canto, i libri sono belli, certo, e le narrazioni di certi romanzi possono andare bene, ma il libro non ha carne e non ha voce, il personaggio non lo vedi ma lo immagini, non c’è il corpo dell’attore che si muove in scena, e a volte è persino troppo faticoso lasciar lavorare il cervello per ricrearti il mondo narrativo nella mente. E poi viviamo circondati di immagini e il nostro approccio sta diventando (troppo) visivo; per leggere bisogna essere molto bravi soprattutto ad ascoltare – cosa che può sembrare paradossale – e se c’è una cosa che si fa ormai poco è proprio questa: ascoltare.

Il modulo narrativo del Tv drama è invece quasi perfetto per la nostra vita quotidiana perché unisce tutte queste cose insieme e consente a chi lo produce una creatività molto più libera rispetto al cinema di sala. Intanto, come avevo già detto per Twin Peaks, la lunghezza della serie e la divisione in episodi, i minori vincoli di distribuzione, la possibilità di ripetere il successo una serie dopo l’altra monitorando quasi in tempo reale i risultati di pubblico (si veda Game of Thrones), un lavoro sul linguaggio e sulla recitazione di maggior respiro, maggiore libertà in termini di mondi di invenzione, commistione dei generi, immersione nella sospensione dell’incredulità grazie a minori aspettative dello spettatore che tuttavia può restare positivamente colpito da una storia che non si aspettava, e, infine, maggiore interazione con il pubblico (tutto il mondo esterno che ruota intorno al Tv drama genera interpretazioni, pareri, aspettative, giochi di riconoscimento, gossip, aneddoti, eccetera)  sono alcuni degli aspetti che trovo molto interessanti del Tv drama. Ultimo ma non meno importante: c’è la possibilità di starsene a piedi nudi con una tazza di tè in mano e il gatto in braccio a godersi le gesta di un Rusty Cohle o di un Jon Snow.

Molti dicono che la crisi di creatività dell’industria di Hollywood e l’impazienza comprensibile di molti creatori e sceneggiatori abbiano spostato l’interesse verso il Tv drama che con tutte queste cose e una maggiore inventiva, permette una qualità di scrittura a sua volta maggiore rispetto ai tanti film usciti negli ultimi anni, con buona pace per tutti quelli che ritengono la TV figlia di un dio minore. Certo, la grandiosità dello schermo di sala non la voglio nemmeno mettere in discussione: non c’è paragone tra l’esperienza di vedersi sovrastati da immagini giganti e l’esperienza di starsene protetti nella propria comfort zone sul divano o sul letto. Però è il tempo di fruizione che ha la meglio con lo schermo Tv. Potersi anche guardare le puntate due a due, scegliendo magari di farsi una full immersion, non è cosa da poco.

Il piacere di guardare un bel TV drama è simile al piacere di leggere un bel romanzo

Tornando alla struttura del Tv drama dal punto di vista di chi scrive, a parte i soliti vincoli di produzione, la cosa interessante è che non ci si vergogna più di mettere in bocca a un personaggio versi di Shakespeare, di John Donne o di Gertrude Stein (in Westworld, primo episodio) o di citare un autore che i più nemmeno conoscono come R. M. Chambers l’autore di quel Re in Giallo che ci ha ossessionato tutti quando seguivamo le tracce dell’assassino in True Detective 1 (The King in Yellow, mentre Carcosa, che Chambers cita nei suoi racconti e che è il luogo inquietante dove finisce Cohle nell’ultimo episodio è il luogo immaginario nominato per la prima volta in un racconto di Ambrose Bierce, An Inhabitant of Carcosa).

L’approfondimento dei personaggi e la loro psicologia, la dilatazione temporale consentita da un tempo narrativo più lungo e disteso, l’indugiare su particolari che in un film da due ore dovrebbero essere forzatamente ridotti, la possibilità di creare un’aspettativa attraverso i dialoghi (ricordo le sedute di Tony Soprano presso la psichiatra, come un esempio di grande scrittura), hanno reso i personaggi dei Tv drama molto più stratificati e più convincenti; in sostanza, i personaggi consentono di percepirne la grana, perché sono più profondi, più elaborati e, finalmente, all’altezza di certi personaggi che potrebbero essere usciti da un romanzo.  Questo rende una serie come True Detective più vicino a un romanzo tantopiù che Nic Pizzolatto aveva pensato dapprima di farne proprio un libro, cambiando idea con il tempo, mentre la storia prendeva forma.  Il piacere di guardare True Detective (così come è capitato con Twin Peaks e con i Soprano in passato) è paragonabile, nel mio caso, soltanto al piacere di leggere un gran bel libro prendendomi tutto il tempo di speculare sui personaggi e le loro azioni, godendomi la trama e l’atmosfera, le motivazioni e gli snodi narrativi, lo spostamento temporale e l’evoluzione delle vicende. Ovviamente può anche capitare che un TV drama metta voglia di leggere un libro magari di atmosfera analoga, e meno male! In molti avranno letto Gomorra dopo aver guardato la serie.

Generi, riferimenti, scenari

Tra gli aspetti più interessanti che ritrovo nel Tv drama c’è la commistione di generi: horror che contengono elementi di fantascienza, distopie pure, fantasy thriller, fantascienza western, detective story  e poi, pervasivo e onnipresente il noir, come costruzione di un’atmosfera, come angolatura (cupa) per presentare temi e personaggi. Sarebbe, tuttavia, ingenuo pensare al Tv drama come completamente esente dalle dinamiche creative e storico-sociali del cinema di sala e definirlo come un modulo filmico a se stante. In realtà non c’è niente di più caratterizzato in termini storico attuali del Tv drama come lo vediamo ormai dai tempi dei Soprano. Come già rilevato da James Naremore in More Than Night a proposito del noir, ogni film è  polivalente e attraversa più generi; le convenzioni filmiche si sono sempre mescolate per generare prodotti ibridi spesso sotto l’influenza di fattori storici, sociali, economici più che strettamente strutturali. Questo è tanto più vero nel Tv drama, in cui l’ibridazione dei generi e degli stili è un punto di forza più di quanto non lo sia nel cinema, dove a volte il pubblico si aspetta il rispetto dei canoni del genere. Tra le scelte stilistiche più in voga, il noir è certamente tra i primi. Sbaglieremmo tuttavia a pensare al noir come a un genere vero e proprio; si tratterebbe invece più di un’aura, un’atmosfera in grado di gettare lo sguardo che coglie il lato oscuro dei personaggi, il realismo disperato della nuda vita di fronte a vicende incontrollabili, il senso del destino e dell’ombra che dal passato si getta a ossessionare il personaggio nel presente. Non è un caso che tra i classici di questa categoria così permeabile si possano trovare Out of the Past  di Jacques Tourner (in italiano Le catene della colpa), Touch of Evil di Orson Wells in cui il male che incombe sulla società viene dal suo interno, dalla sua corruzione, dal potere incontrastato dei suoi componenti, Vivere e morire a Los Angeles di W. Friedkin in cui il senso della precarietà assoluta della vita rimanda direttamente a una lotta di sopravvivenza all’ultimo sangue. Il noir ha sempre avuto a che fare con il lato oscuro dell’animo umano, con personaggi perseguitati dalla sorte e dalla violenza, che devono agire loro malgrado per districarsi in vicende che li vedono sempre più imbricati e incastrati. Il tradimento, il doppio gioco, la corruzione, la menzogna, il crimine sono i versanti tipici in cui si costruiscono atmosfere noir che spesso sconfinano con una concezione molto pessimistica, e tuttavia realistica, della società.

Se il noir è la cifra stilistica che domina la seconda serie di True Detective, è tuttavia un’altra atmosfera, squisitamente americana, che domina il primo capitolo, nella linea di una lunga tradizione letteraria: il Southern Gothic, uno stile prettamente americano rintracciabile in grandi scrittori della letteratura americana (tra cui William Faulkner, Flannery O’Connor, Erskine Caldwell, Carson McCullers, Tennessee Williams, i primi romanzi di Cormac McCarthy ambientati in Kentucky, e tra gli esempi recenti, il molto discutibile romanzo di Donna Tartt, Il piccolo amico). Per la conformazione del territorio, la storia e le commistioni linguistiche, l’architettura storica e la violenza di cui è intriso il Sud, la Louisiana è uno dei posti più interessanti per ospitare storie di questo tipo. Si tratta di luoghi dove aleggia l’ombra del passato schiavista e dove l’aura di mistero non ha mai cessato di stupire chiunque vi sia stato; altre aree di confine geografico e naturale sono i bayou del Texas, per esempio in un film come Texas Killing Fields di Amy Canaan Mann in cui due detective indagano su alcuni omicidi misteriosi in un territorio simile a quello in cui si muovono i protagonisti di True Detective.

Dei molti film da ricordare come esempi di Southern Gothic tra gli altri The Night of the Hunter di Charles Laughton; Swamp Water di Jean Renoir; Mezzanotte nel giardino del bene e del male di Clint Eastwood, Wise Blood di John Huston (da Flannery O’Connor),   In the Electric Mist di Bertrand Tavernier e, con Matthew Mc Coughney, Killer Joe di William Friedkin mentre, sconfinando nel soprannaturale, segnalo il terrificante Hush…Hush… Sweet Charlotte di Robert Aldrich,  Angel Heart di Alan Parker e The Skeleton Key di Ian Softley,. (Per una lista di 10 film sul Southern Gothic si veda questa pagina di Flavorwire).

Robert Mitchum in The Night of the Hunter di Charles Laughton

 

Un fotogramma da Swamp Water di Jean Renoir

Il Southern Gothic in True Detective

True Detective è un esempio notevole di southern gothic e forse quello che in questi anni lo rappresenta al meglio, con gli elementi di soprannaturale di cui è costellata la vicenda che tuttavia restano confinati alla possibilità che sia solo Rusty Cohle a percepirli.

Il bello del southern gothic, come è evidente in film dalle atmosfere morbose come Piano Piano dolce Carlotta di Robert Aldrich, è che non è mai chiaro se i fantasmi ci siano o meno perché l’ambiente in cui vivono e agiscono i personaggi, spesso compreso in quel territorio indicato come Bible belt, è talmente intriso di religione veterotestamentaria, sette religiose fondamentaliste, resti del vodoo, e memoria dello schiavismo che i fantasmi fanno parte quasi del paesaggio, con la sua vegetazione mostrificata, le paludi in penombra e i resti abbandonati della guerra civile. A questo proposito, il luogo indicato come Carcosa, nell’ultima puntata esiste veramente e si chiama Fort Macomb. Mentre il luogo iconico par excellence del gotico rimane la casa isolata e un po’ cadente tra la vegetazione, particolarmente sinistra se poi si entra dentro e si scopre che c’è pure la tipa psicotica (nel Southern Gothic la presenza di psicotici e psicolabili è molto frequente, come si ricorderà Benjy in The Sound and the Fury di Faulkner).

True detective casa gothic
La sinistra casa di True Detective

Con queste premesse, dunque, in TD il gotico sconfina spesso con il soprannaturale o almeno con la percezione della sua presenza, lasciando la narrazione al di qua del territorio occupato dall’horror e rendendola quindi perturbante o, se non altro, profondamente inquietante. Ombre, fantasmi, mostri, sono proiezioni di un mondo irredimibile, in cui il territorio, il paesaggio e la violenza che ne è stata fatta, si riflettono direttamente sul corpo delle vittime di cui la storia è costellata. Cupo, livido, tormentato com’è, il mondo di TD sembra respirare l’aria di una palude esistenziale dove il detective non è più soltanto un poliziotto determinato a scoprire il colpevole, ma una personalità tormentata essa stessa dall’idea ossessiva di portare a termine la sua missione teleologica, dimostrando che il male non è all’esterno, non è in una mitica Carcosa, ma può essere umano, molto umano e celarsi in quelle pieghe inquietanti che hanno a che fare con l’incesto e la sessualità morbosa.

In True Detective i due stili del gotico e del noir si integrano perfettamente nella narrazione, il Southern Gothic nel primo capitolo e il noir nel secondo. Ma un conto è rintracciare a posteriori i riferimenti letterari, riconoscere lo stile e l’atmosfera, giudicare più o meno forti o valide le motivazioni dei personaggi, un conto è prendere un’idea, lavorarci su e tirarci fuori tutto questo, trasformando quello che doveva essere un romanzo in una narrazione per un medium diverso. Nel prossimo post cercherò di elaborare meglio alcune di queste considerazioni guardando ai dialoghi di True Detective.


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