Gone Girl – Never Trust the Teller, Trust the Tale

Quando si vede un film al cinema, talvolta colpisce anche quello che chiamo l’extra-extra testo: la reazione del pubblico in quel momento sospeso e rivelatore che è il breve lasso di tempo tra la fine e la partenza dei titoli di coda. Il brusio che si è sparso nella sala, ancora al buio e il rilascio della tensione più o meno tangibile che si era accumulata rispetto al personaggio femminile la dicevano lunga alla fine di Gone Girl. Era un brusio di inquietudine; in qualche modo eravamo tutti lì a chiederci quale fosse l’intento del film. Di malvagi se ne vedono tanti, ma questa! Che villain, ragazzi! Mi è venuto da pensare: Lady Macbeth al vetriolo (e diversamente da questa, molto più tosta e più solitaria), un po’ Tamora del Tito Andronico per l’efferatezza dei gesti e degli atti, ma molto più ambigua. Una psicopatica talmente intelligente che solo la letteratura potrebbe produrre con tanta meticolosa precisione. Ma più di tutto questo, il personaggio mi è sembrato un grande esempio di narratore inaffidabile, di cui la grande letteratura e il grande cinema offrono spesso esempi notevoli.

L’inaffidabilità di tutti i narratori della storia è talmente efficace da risultare il tema portante del film e da far emergere l’individualità (per quanto frustrata e infelice [e come potrebbe non essere così, in questo mondo che moltiplica i piani interpretativi toppandoli sempre?]) come fonte stessa della narrazione, al punto da far soccombere il circuito mediatico alla sua intrinseca stupidità (la TV esce davvero soccombente, nel tentativo di rilevare una verità che è impossibile da trovare perché le fonti sono tutte inaffidabili). L’inaffidabilità delle narrazioni a tutti i livelli (TV, web, personaggi, diario, ecc.) è il solo punto fermo nel possibile rapporto tra spettatore (o lettore) e opera, tra racconto e fiducia. Una villain inaffidabile (come tutti i villain…) è in fondo quello che ci meritiamo e in questo senso la dice lunga l’avvocato, come al solito il personaggio che meglio assomma le virtù pragmatiche di chi deve scegliere un percorso e attenervisi perlomeno per coerenza di intenti. Il marito, alla fine, dovrebbe essere grato alla moglie per quello che lei ha fatto: nel giro di poco tempo, i due potrebbero anche trovarsi ricchi e famosi, grazie all’intraprendenza di lei.

Ripenso a Dostoevskij quando scrisse: “Se Dio non c’è, tutto è permesso”, anche mentire a doppia velocità, anche confondere il vero con il falso, manipolando la realtà e rigirandosela a piacimento, cogliendo il momentum e rientrando in scena nel migliore dei modi (Amy che torna tutta insanguinata e si butta nelle braccia del marito incredulo, dandosi in pasto ai media inconsapevoli che tutto è permesso perché non c’è possibilità di stabilire ciè che è vero da ciò che è falso, se ancora questa dicotomia ha un senso). L’occhio di Dio, un po’ latitante in questi ultimi tempi, è stato sostituito dall’occhio onnipresente dello schermo e dei media.

Credo che la risoluzione del problema di cosa sia vero e cosa sia falso non esista più da molto tempo al cinema, e già se ne era accorto Oliver Stone con Natural Born Killers (mi viene in mente Fake di Orson Welles, sulla vita mirabolante del geniale falsario Elmyr de Hory). Fincher ha sempre avuto una bella capacità di descrivere il male che circonda la vita, ma in questo film sembra fare un passo avanti rispetto a Seven, dove la tematica era più da morality play a sfondo biblico. Il personaggio di Amy è molto più profondo, una villain molto ben costruita che riesce a trasformare la sua frustrazione, sfociata in psicosi assassina, in una manipolazione generale delle persone che la circondano e di quelle che seguono la sua storia attraverso gli schermi. Il realtà il personaggio è geniale nel modo in cui, non potendosi esprimere da autrice di plot, e confinata nel suo alter ego fittizio (Amazing Amy non è lei, ma quella che i genitori avrebbero voluto che fosse),  trasforma la sua vita in una narrazione vivente, mettendo nel sacco anche il sistema narrativo della TV (notoriamente pervaso di stupidità e luoghi comuni ancorché molto potente e persuasivo, come ben si sa) e confermandosi come protagonista della propria vita (e a che prezzo!). Il merito di tutta la rocambolesca, romanzesca, delirante vicenda di cui Amy è protagonista è merito della trama di Gone Girl il romanzo di Gillian Flynn costruito e articolato con grande abilità. Se il plot del film è notevole, nel libro è ancora più godibile l’alternanza delle voci, il susseguirsi dei capitoli alternati, una tecnica allo stesso tempo convenzionale e innovativa come è sempre il romanzo come forma narrativa. Non sono tra quelli che privilegiano un medium su un altro, e non sto paragonando il film al libro o viceversa, dico semplicemente che vedere il film e leggersi il romanzo è come raddoppiare l’esperienza.

L’unica distinzione è che, da lettori, si ha il tempo di elaborare e di tornare indietro sulla lettura, ripercorrere gli snodi, rileggersi i dialoghi, cercando di acchiappare il personaggio e magari lasciandosi anche un po’ travolgere dal gioco di specchi del rapporto tra i due protagonisti. Leggendo, si ha il tempo di notare le convergenze inquietanti tra come le donne di vedono e come sono viste, e se tante volte doveste essere tra quelli che amano decostruire i personaggi apparentemente sessisti e piluccare tra tematiche maschiliste, beh, qui c’è di cui divertirti (ma non dimenticate che l’autrice è una donna…).

Come spettatore, resta l’inquietudine data dalla consapevolezza che la realtà “reale” o “fittizia”, oggettiva o soggettiva, sia una grande palude di pareri discordarti, di versioni personalizzate, di interpretazioni fallaci e che non ci si può fidare di nessuno, men che mai dei parenti più stretti; a volte, paradossalmente, nemmeno di se stessi. Perché non c’è peggior mentitore di quello che lo fa con se stesso (ancora una volta l’eco di Dostoevskij aleggia a distanza…). E quello che resta, alla fine dei conti, è il racconto di un narratore inaffidabile. Per dirla con Lawrence, Never trust the teller, trust the tale.


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